Dal web
Doppia mascherina, sciarpa, mani secche per il gel, piedi gelidi per il freddo. L'armamentario solito per il solito inizio di lezione. Inizio a perdere colpi, inizio a perdere lo smalto, iniziano a girarmi i coglioni. Apro il portatile, scelgo la lezione calendarizzata, avvio la chiamata e intanto non guardo nemmeno lo schermo, tanto cosa dovrò mai vedere, si connettono alla spicciolata ma con i microfoni spenti. C'è il silenzio rotto ogni tanto da qualche timido buongiorno, c'è una lunga mattinata di monologhi e connessioni che saltano, come i nervi.Poi non so com'è, sarà l'abitudine, sarà che è come andare in bicicletta, ma la frustrazione mi si stempera sempre un po' quando inizio a spiegare, quando li sento rispondere, quando butto là una domanda e piano piano mi abituo ai secondi da aspettare prima che mi arrivi una qualche risposta. Metto in palio un "più" sul registro al primo che si smuta, sento sovrapporsi le voci per un attimo e mi sembra quasi una lezione normale.
Forse ci stiamo abituando. Forse sono triste perché ci stiamo abituando.
Dopo un po' mi rompo, mi annoio io a sentirmi spiegare, figurarsi loro. Che va bene le mille meraviglie della tecnologia, condividere schermi, inviare filmati, ma mi sembra sempre di fare dei webinar, quelle robe pallose che somministrano a noi insegnanti, quelli dove c'è uno che parla e fa vedere delle slides e io intanto stiro e lo ascolto con la faccia di chi ha il televisore impallato su Teleduemaroni e vorrebbe tanto cambiare canale ma non trova le pile nuove per il telecomando e anche a pigiare i tasti non succede niente. Quando non ce la faccio più, allora, dico una scemenza, chiedo se hanno già fatto l'albero, chiedo cosa mangeranno a pranzo. Spesso stanno già mangiando, perché non c'è pandemia che tenga, questi mangiano sempre.
E poi di colpo una voce che mi dice "prof? la vuole vedere una cosa bella?". Che quando i ragazzi ti dicono così, di solito, c'è un po' da preoccuparsi, ma non mi sembra questo il contesto, e comunque ho una voglia disperata di vedere qualcosa di bello.
Una telecamera si accende. Si muove. Vedo cambiare velocemente le immagini, vedo sfocato, vedo una portafinestra che si apre. E all'improvviso la neve. Tanta neve che scende a fiocchi calmi e lenti, come nei film, quelli di Natale; neve che si aggiunge a quella già caduta sulle auto parcheggiate, che si posa sulla siepe che delimita il giardino, che si ferma sulla balaustra del balcone. Sembra di guardare dentro una boule de neige. Si aprono i microfoni, "che bello!", "ma quanta!", "guarda come viene!", "oh, tu dov'è che abiti?!", "ma perchè? qua piove e basta, uffa!", "qui niente ma c'è l'odore!", "che odore?" "della neve", "la neve non ha odore", "lo dici tu, io lo sento!", "anch'io!", "qui dice che oggi pomeriggio nevica anche da noi".
E io guardo quel quadratino di schermo in cui turbina lo zucchero filato, e sento le voci che si accavallano e guardo fuori il cortile appena bagnato di pioggia, testimone di tante battaglie passate su cui inizia a posarsi leggera una spolverata bianca.
Non c'è didattica a distanza che tenga, quando arriva lei la lezione si ferma e si distraggono tutti e fanno un gran casino, non importa che abbiano sei anni o venti.
Almeno quella non ce l'hanno tolta.
La capacità di stupirci, dico.
E la neve, certo, anche quella....
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