Oggi è l'anniversario della morte di Giovanni Pascoli ( 06 aprile 1907)
Giovanni Pascoli è uno fra i più famosi poeti Italiani quasi tutti conoscono o hanno studiato ai tempi della scuola almeno una delle sue poesie, tra l'altro il poeta visse per un certo periodo anche in quel di MAssa ( MS ) su cui scrisse anche una poesia che magari non tutti sanno ma che almeno i Massesi ( e luoghi limitrofi ) dovrebbero sapere
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GIOVANNI PASCOLI breve biografia
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna (oggi San Mauro Pascoli) il 31 dicembre 1855 da Ruggero e Caterina Vincenzi Allocatelli, quarto di otto figli. Il padre era amministratore della tenuta "La Torre" dei principi Torlonia. Dopo un'infanzia molto felice entrò nel 1862, con altri tre fratelli, nel collegio degli Scolopi di Urbino. Il 10 agosto 1867 la sua famiglia fu colpita dalla grave tragedia dell'assasinio del padre, Ruggero, episodio che segnò la vita del poeta e che fu seguito a breve distanza dalla morte della madre e di una sorella (1868) e poi di altri due fratelli (1871). Durante gli studi compiuti ad Urbino pubblicò la sua prima poesia, Il pianto dei compagni (1869), per la morte di un suo compagno di studi, Pirro Viviani, che ricorderà poi nell'Aquilone. La triste serie degli avvenimenti luttuosi familiari insinua nelle sue poesie prove poetiche il senso della morte e della visioni notturne e sepolcrali. Lasciata Urbino nel 1871, continuò gli studi liceali a Rimini per concluderli a Firenze, ancora presso gli Scolopi. Nel 1873 ottenne una borsa di studio istituita all'Università di Bologna e si iscrisse alla facoltà di Lettere, incoraggiato e seguito negli studi dallo stesso Carducci. All'università srinse amicizia soprattutto con il poeta Severino Ferrari e il suo giornale, "I nuovi goliardi", pubblicò le sue prime poesie, tra le quali una prima versione della Cavallina storna. Degli anni dell'università sono anche le sue esperienze politiche: socialista internazionalista, fu arrestato durante una manifestazione in onore dell'anarchico Passanante e rimase in carcere per quasi quattro mesi, dal 7 settembre al 22 dicembre 1879. In seguito riprese gli studi, interrotti dal 1876 anche a causa di difficoltà economiche. Grazie all'aiuto del Carducci riprese la borsa di studio e riuscì a laurearsi nel 1882 con una tesi sulla metrica di Alceo. Nello stesso anno fu chiamato a Matera come professore di latino e vi rimase per due anni. Nel 1884 fu trasferito a Massa e l'anno seguente ricostituì il nucleo familiare superstite accogliendo nella sua casa le sorelle Ida e Maria. Dal 1887 si trasferì a Livorno, dove rimase per otto anni e dove, nel 1891, pubblicò una prima edizione di poesie (un gruppo di 22 componimenti) dal titolo Myricae, edizione che venne ampliata successivamente fino a quella definitiva del 1903, comprendente 156 poesie. Sempre degli anni di Livorno sono i suoi successi con la poesia latina, per la quale risulterà più volte vincitore al prestigioso concorso di Amsterdam. L'attività poetica proseguiva parallelamente a quella di professore di liceo, e presto Pascoli venne chiamato a collaborare alle maggiori riviste del tempo, alla fiorentina "Vita nuova" e al "Convito" di De Bosis, su cui, a partire dal 1895, pubblicò quella serie di poemi che, una volta raccolti, presero il titolo di Conviviali. Nel 1896 venne chiamato a Bologna per ricoprire la cattedra di grammatica greca e latina in quella università. Dal 1895 si era trasferito insieme con la sorella Maria a Castelvecchio di Barga, nella valle del Serchio, in seguito al matrimonio di Ida. Nel 1897 venne chiamato a Messina come ordinario di letteratura latina. Del periodo dell'insegnamento universitario sono le raccolte dei Poemetti e dei discorsi celebrativi, come L'era nuova (1899) o L'eroe italico (1901) la cui matrice è sempre una sorta di socialismo pacifista e patriottico, che non gli impedì di aderire in seguito all'espansionismo coloniale in Libia con la celebre orazione La grande proletaria si è mossa (1911). I primi anni di questo secolo furono per la produzione di prose (Il fanciullino, 1902), gli studi danteschi e la poesia: nel 1900 e nel 1904 uscirono la seconda e la terza edizione dei Poemetti, quindi i Canti di Castelvecchio (1903 e 1905), i Poemi conviviali (1904 e 1905). Di minore significato poetico, anche se importanti per individuare le profonde radici della cultura pascoliana, sono le Canzoni di re Enzio (incompiute, 1908-1909), i Poemi italici (1911) e i Poemi del risorgimento (postumi e incompiuti, 1913). Nel 1905 occupò dopo alcune polemiche, la attedra di letteratura italiana a Bologna, rimasta libera nel 1904 per il ritiro del Carducci. Trascorse gli ultimi anni di vita tra Bologna e Castelvecchio. Nel febbraio del 1912 si ammalò di tumore al fegato, e si spense a Bologna nell'aprile di quello stesso anno.
da 'Primi poemetti' (1897-1907)
C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.
Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:
un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! È questa una mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto brilla
lassù lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?
Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l'orazïoni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda
tua madre... adagio, per non farti male.
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- La cavalla storna letta da Alberto Lupo
LA CAVALLA STORNA
Da I Canti di Castelvecchio - Giovanni Pascoli
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dài retta alla sua piccola mano.
Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
tu dài retta alla sua voce fanciulla».
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia...»
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole».
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò su la criniera
«O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come».
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.
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Giovanni Pascoli - per Agosto -- letta da Vittorio Gasman
X Agosto di G.Pascoli
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall'alto dei monti
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!
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http://doc.studenti.it/vedi_tutto/index.php?h=9ff2d04a
http://www.fondazionepascoli.it/sitepascoli/pub/index.asp
http://www.poesieracconti.it/poesie/a/giovanni-pascoli
http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/pascoli.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Pascoli
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