Quando Cosimo De Medici morì nel 1461 gli successe il figlio Piero, come lui afflitto dalla gotta che lo portò a una fine precoce, nel 1469. La guida della famiglia passò al primogenito di Piero, Lorenzo, che compiva appena vent'anni e che aveva avuto un eccellente educazione.
Il nonno Cosimo gli aveva dato i migliori maestri: Argiropulo per il greco, Ficino per la filosofia e se stesso per la politica e il commercio.
Lorenzo non aveva nulla di attraente: era di colirito olivastro, alto, robusto ma il volto scadeva nel volgare per via della mascella pesante e dalle narici larghe, schiacciate come quelle di un pugile e con una distorsione del setto che dava alla sua voce un tono sgradevolmente nasale.
Ancora al mecenatismo di Cosimo dobbiamo l'istituzione dell'Accademia Platonica. Della filosofia greca gli italiani sapevano poco o nulla. Platone era semisconosciuto e riusciva impossibile capire in cosa si distinguesse da Aristotele.
Finchè il Concilio ecumenico riconciliò le due chiese occidentale ed orientale. Con l'imperatore e il patriarca d'oriente era arrivato a Firenze uno stuolo di sapienti e dottrinari la cui raffinatezza incantò gli italiani, fu così che si diffusero i concetti platonici con schiere di seguaci.
Un passaggio importante questo, poiché fu Marsilio Ficino, erudito filosofo e conciliatore di paganesimo e cristianesimo ad erudire il giovane Lorenzo, a raffinarne il gusto per l'arte.
Il Magnifico Lorenzo fu quindi erudito mecenate e al contempo pragmatico politico.
Grazie a Lorenzo l'italiano mantenne il rango di lingua colta che Dante gli aveva dato, fattore a rischio per i latineggianti umanisti.
Alla corte di Lorenzo non si parlava altra lingua, pur scrivendo e leggendo bene quelle antiche.
Le arti- letteratura, pittura, scultura, architettura- conobbero, nella Firenze medicea, altezze mai eguagliate . Fu il miracolo chiamato Rinascimento, che dalla Toscana si irradiò verso il resto d'Italia: verso la Roma papale, ma anche alla Ferrara degli Estensi .
Lorenzo De Medici spirò a 43 anni non prima di aver chiesto l'assoluzione al Savonarola che a fatica la impartì. Lasciò una Firenze prospera e pacificata e un patrimonio culturale straordinario.
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