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il pomo della discordia

IL POMO DELLA DISCORDIA


il pomo della discordia è uno dei miti Greci tra i più famosi, da esso scaturirono accadimenti di grande portata e anche un modo di dire ancor oggi in auge , quel " ma chi o cosa è il pomo della discordia
che sta a significare  l'oggetto, persona o altro  in essere motivo di lite o di contrasto in generale insomma di discordia.

andiamo a vedere sul web cosa si trova ...
Al banchetto di nozze di Peleo e Teti, Zeus invitò tutti gli dei dell'Olimpo ad eccezione di ERIS, la dea della discordia. 

Eris, infuriata per l'onta subita, meditò una vendetta da par suo: si presentò comunque al convito e lanciò sulla tavola imbandita un pomo d'oro con la  scritta “alla più bella...” (καλλίστῃ...)

 Al che, Era, Atena ed Afrodite - pretendendo ciascuna d'esser la più bella - iniziarono a litigare al fine d'accaparrarsi il  frutto prezioso, non pensando che così facendo sarebbero cadute in pieno nella subdola trappola tesa da Eris, spietata creatrice di conflitti e di guerre e, secondo l'epiteto omerico, Signora del dolore.

A questo punto Zeus,  per dirimere la lite, invitò Hermes a scortare le tre contendenti sul monte Ida dal  pastore troiano Paride che, uomo giusto e leale, avrebbe fatto da giudice. (Assegnando tale compito ad un mortale, Zeus, in tal modo, si toglieva personalmente d'impaccio ed evitava, inoltre, che sull'Olimpo sorgessero rivalità e contrasti).

Scortate da Hermes fin al cospetto di Paride, le tre dee - al fine di ingraziarsi il giovane pastore troiano - iniziarono a promettergli sottobanco le più svariate ricompense. Era gli promise il dominio politico sull'Asia; Atena la saggezza e la conoscenza, oltre alla fama e alla gloria in battaglia; Afrodite, infine, l'amore di Elena, la donna più bella del mondo.

La scelta di Paride, , cadde su Afrodite, alla quale Hermes consegnò il pomo della discordia, secondo il volere di Zeus.

Afrodite, in seguito, aiuterà il principe troiano a rapire Elena, moglie di Menelao, re di Sparta. Ciò sarà la causa scatenante della guerra di Troia, evento a cui saranno dedicati i poemi epici del ciclo troiano, tra cui l'Iliade e l'Odissea.

La scelta di Paride sul monte Ida avrebbe avuto fondamentali conseguenze sulla storia di Troia e sulla stessa Grecia. Tale scelta fece sorgere, infatti, nelle due dee escluse, Era ed Atena, un odio feroce contro Troia e i troiani, il cui esito ultimo sarebbe stato la distruzione della città ad opera delle armate achee.



versione leggermente ammodernata e rimaneggiata dal web

La Discordia, divinità minore e malefica associata al culto di Marte. Per vendicarsi dell'insulto fattole da Giove che non l'aveva invitata alle nozze di Pelèo e Teti, essa vi intervenne ugualmente e, per gettare lo scompiglio tra le invitate, lanciò fra loro una mela d'oro (il Pomo della Discordia), con incisa la scritta: alla più bella! Gesto che scatenò fra le dèe Giunone, Minerva e Venere una tumultuosa contesa per il possesso del simbolico frutto. Il compito di assegnare l'ambìto riconoscimento fu affidato a Paride, principe-pastore troiano, fratello dell'eroe omerico Ettore. Il premio fu assegnato a Venere, che aveva promesso al giovane l'amore della più bella donna del mondo: la dea dell'amore, infatti, aiutò poi Paride a rapire Elena, l'infedele moglie di Menelao, altro eroe omerico, in tal modo assecondando inconsapevolmente le intenzioni della Discordia e dando quindi origine alla decennale guerra di Troia. La temibile dea era sempre rappresentata insieme ai suoi terribili figli, lo Spavento e il Terrore, i quali nelle battaglie eccitavano gli animi dei combattenti alla crudeltà ed alla strage



Gran fermento quel giorno in Olimpo: si stavano facendo i preparativi per un matrimonio fra due vip, cose alla grande. Pare che in quell’occasione il Padre Giove si sia indebitato fino al collo per far bella figura con gl’invitati, il Gotha delle divinità; deve aver fatto un leasing con Plutone, un pezzo da novanta dell’alta finanza, dio della ricchezza e presidente della Olimpic General Bank: roba da alta società.

E il matrimonio era quello del re dei Mirmìdoni Peléo e dell’affascinante ninfa del mare Teti. Dalla loro unione, per inciso, sarebbe poi nato Achille, detto il “pelìde” dal nome di suo padre. Giove ovviamente lo sapeva, e ci teneva a fare le cose in grande, anche per dare alla fantasia poetica di Omero un personaggio che non rimanesse in cerca d’autore…

Ci riuscì, per la verità, Giove l’anfitrione, perché a quel pranzo di nozze non si badò a spese nelle abbondanti portate di nèttare e ambrosia, che, come tutti sappiamo, erano il cibo e la bevanda degli dèi. Non tutto, però, andò per il verso giusto quella volta, perché verso la fine della grande abbuffata si vide apparire nell’augusta assemblea una dea, brutta e cattiva, che Giove volutamente non aveva invitato: la Discordia.

E d’altra parte cosa poteva fare il re dell’Olimpo? poteva mai far partecipare a una festa di matrimonio proprio una divinità malevola come quella? Sarebbe stato un gesto di vero e proprio cattivo gusto. Due che si sposano, prima o poi finiscono col litigare già per conto loro; se poi gli mettiamo di mezzo anche una menagramo, non gli facciamo certo uno dei migliori servizi. La Discordia, si sa, è una brutta bestia, fatta apposta per mettere zizzania, creare disaccordo, litigi; e non le mancano gli argomenti per farlo. .

Infatti, quella dea brutta e cattiva si vendicò del mancato invito, combinandone una delle sue: gettò fra le invitate un Pomo d’oro (era una mela, non un pomodoro), sul quale aveva inciso insidiose parole che sarebbero passate alla storia per tutte le conseguenze che ne derivarono: “Alla più bella”.

Vuoi che non si scatenasse un putiferio di rivalità fra le olimpiche divinità femminili? (sottolineo “femminili” perché anche certi maschietti, tipo Ganimede e compagni, avrebbero voluto partecipare per aggiudicarsi quel pomo destinato “alla più bella”; ma Giove tagliò corto, dicendo che non era ancora tempo di gay pride).

Furono tre le dèe più agguerrite nella contesa di quell’aureo frutto e quindi del titolo, in quello che può essere considerato il primo concorso di miss Universo che la storia ricordi. Furono Giunone, Minerva e Venere.

La prima, sebbene avesse un aspetto piuttosto massiccio (giunonico, appunto), ambiva a quel titolo anche per un motivo di dignità personale: a suo tempo era stata scelta come moglie dal re degli dèi, non poteva farsi da parte. A sua volta Minerva, essendo la dea della saggezza, dell’intelligenza, della giustizia, non si sentiva certo da meno: la più bella era lei, altro che storie, aveva la bellezza interiore. E infine c’era Venere, la dea della bellezza assoluta e dell’arte amatoria: questo dice già tutto, non c’era bisogno di tanto per avallare la sua candidatura.

In mezzo al putiferio che questa olimpica tenzone aveva scatenato, il povero Giove (che fra l’altro aveva un appuntamento con una delle sue solite ninfette, ed era già in ritardo) decise di venirsene fuori incaricando un altro di vedersela con quelle tre dèe scatenate; e passò la patata bollente allo scaltro Mercurio (Ermes per i greci). Questo dio, molto versato nell’arte diplomatica, invitò le tre dèe a una scampagnata sul monte Ida, tanto per digerire e calmare i bollori, dove sapeva che avrebbe risolto la situazione.

A questo punto, però, dobbiamo fare un piccolo passo indietro. Sul monte Ida viveva sin da bambino un gran bellimbusto che si guadagnava la giornata facendo il pastore: si chiamava Pàride, un bel pezzo di giovanotto di origini aristocratiche ma piuttosto malvisto in circolazione. Era figlio nientemeno che del re di Troia Prìamo e della regina Ecuba. Notti prima del parto, sua madre aveva avuto un cattivo presagio: aveva sognato di partorire un tizzone ardente (vedi che scherzi ti fa la gravidanza), che avrebbe incendiato e distrutto la loro ricca e potente città di Troia.

Apriti cielo! presagio funesto, maghi e indovini a convegno, drastica soluzione. Si decretò che il pargolo portava iella e si decise di allontanarlo dalla civile convivenza; anzi, di eliminarlo proprio. Priamo non ci pensò due volte, ma non avendo il coraggio di farlo da sé, affidò il neonato a un pastore che aveva un’azienda di latticini sul monte Ida, ordinandogli di abbandonarlo e farlo morire. Cosa che fu regolarmente eseguita, ma dopo cinque giorni (un’orsa provvidente lo aveva allattato) il piccolo era più vivo e vegeto che mai; e Agelao, era il nome del pastore, mosso a compassione lo riprese con sé e lo allevò come un figlio (Oddìo, da figlio di re a figlio di un pastore….).

Il Fato comunque aveva deciso: Paride doveva vivere e crescere, per combinare quel po’ po’ di guaio che fu poi la guerra di Troia.



Ed ecco che un giorno ritroviamo il ragazzo, diventato un bel fustacchione sui vent’anni, mentre suona solitariamente il suo piffero pascolando sul monte le candide greggi. E chi ti incontra il pastorello? Vede venirgli incontro un uomo e tre donne che altri non erano se non le divinità fra le più potenti dell’Olimpo. Al giovane e inesperto garzoncello lo scaltro Mercurio rifila con eleganza la soluzione del problema: “Decidi tu, gli dice, quale di queste dèe è più degna di ricevere il Pomo d’oro e di essere considerata la più bella”. Ardua sentenza per un sempliciotto che al massimo aveva avuto a che fare con qualche pecora. Ma ce la mette tutta, il gagliardo, aiutato anche dalle allettanti promesse che gli fanno le tre dive in passerella.

Giunone (“Non per vantarmi, ma io sono la moglie del re degli dèi, non so se mi spiego….”) gli promette mari e monti, conquiste e ricchezze. Minerva (“Guarda che a me, fra qualche migliaio d’anni, faranno una statua in tutte le università: una spintarella agli esami posso sempre procurartela…”). E infine Venere, la maliarda bellona, gli offre solo una cosa, apparentemente meno vistosa degli altri doni: l’amore della donna più bella del mondo. E hai detto niente!

A vent’anni, si sa, soldi e carriera sono cose importanti, tutti i ragazzi li mettono in cima ai loro sani appetiti; ma vuoi mettere portarsi in macchina (o dove volete) la donna più bella del mondo? è una goduria al solo pensarci.

E il nostro fustacchione non ci pensa su troppo: il Pomo d’oro deve andare a lei, la dea dell’amore, che finalmente può liberarlo da certe cattive abitudini con le sue pecore preferite. Venere vince: è lei “la più bella”, ed è lei che lo farà innamorare, ben ricambiato, della bella Elena, moglie di Menelao re di Sparta. Un’attrazione fatale dalla quale si scatenò nel mondo dei miti una delle guerre più lunghe, più sanguinose e più affascinanti, come fu la guerra di Troia che il grande cieco Omero ci ha raccontato.

Tratto da "sala di lettura" www.alalba.it



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