“SI VEDE UN MANEGGIO DI MARMO CHE PARE IMPOSSIBILE, CHE SIA DI OPERA UMANA”
Busto di Maria Barberini Duglioli, Marmo. Louvre, Parigi. Scolpito nel 1626 da Gian Lorenzo Bernini e Giuliano Finelli.
Maria Barberini Duglioli era figlia di Carlo Barberini, il fratello del papa Urbano VIII° Barberini. Sfortunata due volte, la prima perché si sposò nel 1621, giovanissima, due anni prima che lo zio diventasse papa. Se avesse aspettato un paio di anni, avrebbe potuto essere data in moglie a principi o reali, se fosse stata ancora nubile all’epoca. Fu invece congiunta con un nobile bolognese. Ma soprattutto, sfortunata perché poco dopo morì di parto, a soli 22 anni, nel 1621.
La famiglia Barberini, colpita da questo lutto, volle ricordarla e chiese a Gian Lorenzo Bernini qualche anno dopo, di dedicarle un busto in marmo. Il busto è quindi un monumento funebre alla giovane, ufficiale e dinastico. Maria e Gian Lorenzo erano coetanei e probabilmente si conobbero. Lo scultore decise di vestirla come una principessa.
La prima cosa che colpisce in questo busto è la straordinaria lavorazione del colletto di pizzo, tanto realistica da sembrare in tessuto e non scolpita nel marmo. Il merletto che decora la veste è di una finezza tale che per proteggerlo venne creata una gabbia di filo di ferro, poi sostituita da una di tartaruga e vetri, dentro la quale fu posta la scultura. Risulta visibile anche la minuscola corda che lega le perle della collana e l’ape, il simbolo araldico della famiglia Barberini, divenuto una spilla. I fiori di arancio, o di melangolo, come si sarebbe detto nel Seicento, che ornano la chioma di Maria come fresca sposa, richiamano nella loro ricchezza la pittura contemporanea, come nei quadri di Antoon van Dyck (1599 –1641), uno dei più grandi e più amati ritrattisti delle corti del Seicento.
Ogni dettaglio di questo busto smentisce il fatto che sia stato scolpito nel marmo, eppure è proprio di marmo.
Le fonti raccontano che il busto non fu eseguito tutto da Gian Lorenzo ma si rivolse a Giuliano Finelli (1601-1653), uno scultore di Carrara, suo allievo, e maestro nell’arte del traforo del marmo. Secondo lo storico dell’arte Tomaso Montanari, in questo caso se il Finelli aiutò il Bernini, curandone i preziosi ricami, l’invenzione però spetta al Bernini.
Sempre secondo Montanari, la “zampata” del maestro si nota anche in un altro particolare: il sorriso appena accennato di Maria, un sorriso che ricorda Correggio e Leonardo, con quell’espressione di sospensione indefinita, congelata, sospesa.
Il Finelli compì la sua formazione accanto a Pietro Bernini, il padre di Gian Lorenzo, con il quale collaborò nell’Apollo e Dafne della Galleria Boghese, verosimilmente negli stupefacenti intagli e trafori delle radici e delle foglie di alloro (“Un maneggio di marmo che pare impossibile”, G. Passeri, 1772), ma anche nella Santa Bibiana e nel Baldacchino di San Pietro.
Certamente il Bernini sarà stato geloso del carrarese, che voleva affermare una sua autonoma personalità di scultore. Secondo il Passeri, stanco della scarsa considerazione in cui Bernini lo teneva, impedendogli di emergere come artista indipendente, Finelli lasciò la bottega dell’artista e si mise in proprio, lasciando Roma per Napoli (1634), dove si applicherà nel genere del ritratto raggiungendo una notevole intensità espressiva in un supremo virtuosismo tecnico. Nel 1652 diresse alcuni lavori a Roma per delle sculture per il Re di Spagna, ma morì l’anno dopo, il 16 Agosto del 1653, all’età di 50 anni circa.
Il busto ebbe poi una storia strana. Fu esportato illegalmente dall’Italia alla fine dell’800, quando furono gli stessi eredi Barberini a cominciare a vendere a pezzi la sterminata collezione di famiglia. Questo busto esce dall’Italia verso il 1890 e poi se ne perdono le tracce. Dopo la fine della seconda guerra mondiale riappare misteriosamente in Francia e viene assegnato al Louvre. Ma al Louvre nessuno capisce di cosa si tratta, tanto che nel 1994 viene dato in prestito a lungo termine al museo del Pizzo a Calais, nel nord della Francia, perché sembrava che l’unica cosa interessante fosse proprio il costume. Si era completamente persa la memoria che si trattava di un’opera importantissima attestata dalle fonti, concepita dal Bernini e scolpita, almeno in parte, dal suo migliore allievo, Giuliano Finelli.
fonte - vai
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Busto di Maria Barberini Duglioli, Marmo. Louvre, Parigi. Scolpito nel 1626 da Gian Lorenzo Bernini e Giuliano Finelli.
Maria Barberini Duglioli era figlia di Carlo Barberini, il fratello del papa Urbano VIII° Barberini. Sfortunata due volte, la prima perché si sposò nel 1621, giovanissima, due anni prima che lo zio diventasse papa. Se avesse aspettato un paio di anni, avrebbe potuto essere data in moglie a principi o reali, se fosse stata ancora nubile all’epoca. Fu invece congiunta con un nobile bolognese. Ma soprattutto, sfortunata perché poco dopo morì di parto, a soli 22 anni, nel 1621.
La famiglia Barberini, colpita da questo lutto, volle ricordarla e chiese a Gian Lorenzo Bernini qualche anno dopo, di dedicarle un busto in marmo. Il busto è quindi un monumento funebre alla giovane, ufficiale e dinastico. Maria e Gian Lorenzo erano coetanei e probabilmente si conobbero. Lo scultore decise di vestirla come una principessa.
La prima cosa che colpisce in questo busto è la straordinaria lavorazione del colletto di pizzo, tanto realistica da sembrare in tessuto e non scolpita nel marmo. Il merletto che decora la veste è di una finezza tale che per proteggerlo venne creata una gabbia di filo di ferro, poi sostituita da una di tartaruga e vetri, dentro la quale fu posta la scultura. Risulta visibile anche la minuscola corda che lega le perle della collana e l’ape, il simbolo araldico della famiglia Barberini, divenuto una spilla. I fiori di arancio, o di melangolo, come si sarebbe detto nel Seicento, che ornano la chioma di Maria come fresca sposa, richiamano nella loro ricchezza la pittura contemporanea, come nei quadri di Antoon van Dyck (1599 –1641), uno dei più grandi e più amati ritrattisti delle corti del Seicento.
Ogni dettaglio di questo busto smentisce il fatto che sia stato scolpito nel marmo, eppure è proprio di marmo.
Le fonti raccontano che il busto non fu eseguito tutto da Gian Lorenzo ma si rivolse a Giuliano Finelli (1601-1653), uno scultore di Carrara, suo allievo, e maestro nell’arte del traforo del marmo. Secondo lo storico dell’arte Tomaso Montanari, in questo caso se il Finelli aiutò il Bernini, curandone i preziosi ricami, l’invenzione però spetta al Bernini.
Sempre secondo Montanari, la “zampata” del maestro si nota anche in un altro particolare: il sorriso appena accennato di Maria, un sorriso che ricorda Correggio e Leonardo, con quell’espressione di sospensione indefinita, congelata, sospesa.
Il Finelli compì la sua formazione accanto a Pietro Bernini, il padre di Gian Lorenzo, con il quale collaborò nell’Apollo e Dafne della Galleria Boghese, verosimilmente negli stupefacenti intagli e trafori delle radici e delle foglie di alloro (“Un maneggio di marmo che pare impossibile”, G. Passeri, 1772), ma anche nella Santa Bibiana e nel Baldacchino di San Pietro.
Certamente il Bernini sarà stato geloso del carrarese, che voleva affermare una sua autonoma personalità di scultore. Secondo il Passeri, stanco della scarsa considerazione in cui Bernini lo teneva, impedendogli di emergere come artista indipendente, Finelli lasciò la bottega dell’artista e si mise in proprio, lasciando Roma per Napoli (1634), dove si applicherà nel genere del ritratto raggiungendo una notevole intensità espressiva in un supremo virtuosismo tecnico. Nel 1652 diresse alcuni lavori a Roma per delle sculture per il Re di Spagna, ma morì l’anno dopo, il 16 Agosto del 1653, all’età di 50 anni circa.
Il busto ebbe poi una storia strana. Fu esportato illegalmente dall’Italia alla fine dell’800, quando furono gli stessi eredi Barberini a cominciare a vendere a pezzi la sterminata collezione di famiglia. Questo busto esce dall’Italia verso il 1890 e poi se ne perdono le tracce. Dopo la fine della seconda guerra mondiale riappare misteriosamente in Francia e viene assegnato al Louvre. Ma al Louvre nessuno capisce di cosa si tratta, tanto che nel 1994 viene dato in prestito a lungo termine al museo del Pizzo a Calais, nel nord della Francia, perché sembrava che l’unica cosa interessante fosse proprio il costume. Si era completamente persa la memoria che si trattava di un’opera importantissima attestata dalle fonti, concepita dal Bernini e scolpita, almeno in parte, dal suo migliore allievo, Giuliano Finelli.
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