Negli ultimi trent’anni, il salario annuo medio è aumentato in tutti i Paesi facenti parte dell’Unione europea, fatta eccezione per l’Italia, che invece ha registrato un calo del 2,9%.
È vero che gli aumenti più clamorosi nella classifica europea riguardano per lo più Paesi come quelli dell’ex Unione Sovietica i cui salari medi annuali, nel 1990, erano molto bassi rispetto agli altri Paesi; e che altri Paesi europei hanno visto una crescita più modesta, come il 31,1% della Francia e il 15,5% dei Paesi Bassi. Ma soltanto la crescita italiana è negativa.
In Italia i salari sono saliti a partire dal 1995, fino al 2010, quando hanno ripreso a scendere. È stata, in particolare, la diminuzione tra il 2019 e il 2020 a riportare il livello al di sotto di quello del 1990.
Si tratta di uno scenario preoccupante anzitutto a causa del recente aumento dei prezzi: se i salari diminuiscono e l’inflazione sale, la povertà aumenta.
Oggi l’Italia è quarta in Europa per numero di lavoratori poveri, pari all’11,8% di tutti i lavoratori, cioè circa un milione e mezzo di persone che guadagna da €550 a €820 al mese. Se si considerano specificamente i lavoratori più giovani, la quota sale al 15,6%.
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